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Trilioni di euro vanno ai preparativi di guerra

Trilioni di euro vanno ai preparativi di guerra

Qualcuno chiede anche chi dovrebbe pagare il conto? La spesa militare è spesa pubblica, quindi ovviamente sono i contribuenti che pagano i trilioni.

Il costo dell’attuale progetto franco-tedesco-spagnolo del Furure Combat Air System (FCAS) è stato stimato in mezzo trilione, ovvero 500 miliardi di euro. Il nuovo aereo da combattimento sostituirà l’attuale Eurofighter tedesco e il Rafale francese dal 2040. Il cancelliere Angela Merkel e il presidente Emmanuel Macron hanno concordato nel 2017.

I due capi di Stato hanno anche concordato di sviluppare una nuova petroliera per 100 miliardi di euro, secondo quanto riportato dal quotidiano economico tedesco Handelsblatt (5.6.2019).

Ora è importante ricordare che FCAS e il Main Ground Combat System (MGCS), ovvero la nuova petroliera prevista, non sono gli unici progetti di armamento in corso nel nostro continente. Sciami di droni ben equipaggiati accompagneranno questi aerei da combattimento di “sesta generazione”. A tal fine, le industrie militari svedesi, francesi, italiane, spagnole, svizzere e greche stanno sviluppando il drone Neuron. Sì, e ovviamente i servizi cloud militari, i sistemi satellitari e l’intelligenza artificiale devono essere modernizzati.

La Finlandia partecipa a questa cerimonia di riarmo europea con le sue nuove acquisizioni di aerei da combattimento. Se il francese Rafale verrà scelto per sostituire l’americano Hornetes, anche la Finlandia parteciperà alla nuova tecnologia FCAS. Con questo argomento, i lobbisti del produttore di armi francese Dassault stanno attirando i nostri decisori e piloti da combattimento.

È qui che entra in gioco anche la tanto chiacchierata tecnologia 5G, che si applica in millisecondi, non da ultimo quando FCAS schiera armi nucleari. Anche queste sono armi nucleari francesi, bisognose di modernizzazione. Almeno così ha affermato.

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Secondo il SIPRI, lo Stockholm International Peace Research Institute, la spesa militare dell’alleanza militare NATO nel 2019 è stata di poco più di un trilione di dollari (poco più di 900 milioni di euro), di cui Unione Europea e Regno Unito, che erano ancora in l’Unione Europea. A circa 278 miliardi di dollari (circa 250 milioni di euro), poco più della spesa militare cinese nello stesso anno (261 milioni di dollari; 235 milioni di euro). Va notato che la Gran Bretagna, con la sua base di armamenti BAE, nonostante la Brexit, è ancora integrata nell’industria bellica europea come lo è nella sua interezza nella sua controparte nordamericana e della NATO. L’Inghilterra, insieme all’Italia e alla Svezia, gestisce il suo progetto FCAS con il nome Tempest.

Qualcuno dubita che i paesi europei intendano acquistare entro il 2050 nuovi sistemi d’arma, comprese armi di distruzione di massa, per miliardi di euro? Qualcuno chiede perché questa minaccia alla sicurezza dei nostri figli e nipoti possa continuare? No, perché non si chiama minaccia ma si pretende essere una difesa. Qualcuno chiede anche chi dovrebbe pagare il conto? La spesa militare è spesa pubblica, quindi ovviamente sono i contribuenti che pagano i trilioni.

C’è un concetto in tutto questo. Si chiama economia politica. Ma sembra che gli economisti politici, soprattutto oggigiorno, abbiano grandi difficoltà a spiegare quello che in inglese viene chiamato “dual use”, cioè da un lato l’uso militare e dall’altro l’uso civile delle conquiste della tecnologia. La dottrina politica ed economica prevalente chiude gli occhi sulla dimensione militare spaventosamente inflazionata, e quindi merita il termine di “keynesismo militare”. In piena conformità con i famosi insegnamenti di Keynes, gli stati contraggono enormi prestiti e riscuotono grandi tasse dai cittadini. Con i loro enormi investimenti in progetti pubblici, seguono anche Keynes. Keynes preferiva investire nello sviluppo civile, mentre i principali economisti politici di oggi sono particolarmente interessati ai preparativi per la guerra. Il che, da un punto di vista economico, appare come un modo per liberarsi del surplus di produzione del capitalismo moderno.

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Ci sono infatti alcuni economisti politici che seguono lo sviluppo generale con occhio critico, come la professoressa Neta Crawford della Boston University negli USA e il dottor Stuart Parkinson che guida il gruppo “Scientists for Global Responsibility” in Inghilterra. Ricercano i veri costi della guerra e tentano di calcolare l’impronta ambientale dell’esercito. Ma per la maggior parte degli economisti, la citazione dell’ex economista HBL Per-Erik Lönnfors è ancora valida: Salva il mondo, brucia i libri di economia (pubblicato come libro nel 1999).

Signor Michael Bock, Isnas