domenica, Novembre 24, 2024

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Recensione del film: Savage su un padre mafioso esposto e sua figlia

L’americano– Il regista italiano Jonas Carpignano continua a concentrarsi su destini diversi dalla parte più ombrosa della città di Gioia Tauro, nella regione italiana della Calabria.

Chiara, la quindicenne figlia della mafia, è al centro di “A Chiara” dopo un ruolo minore in “A Ciambra” – un film esecutivo di Martin Scorsese che affronta la povertà e il pregiudizio dagli occhi di una quattordicenne -vecchio zingaro. Pio Amatos, che aveva interpretato il ruolo principale nel precedente dramma sui rifugiati di Carpignano, apparve anche in Meditania.

E così è “A Chiara” Autonomo, ma il regista costruisce un nuovo universo cinematografico realistico con un tocco locale: invece dei supereroi, i personaggi interagiscono e interagiscono con persone provenienti da storie del passato o del futuro. È un costrutto globale, ognuno dei quali ricorda l’equilibrio di potere tra diverse classi sociali e gruppi etnici.

Come in (quasi) tutti i film sulla mafia, il focus è sulla famiglia. Chiara era ingenua riguardo al sostentamento di suo padre ma ha iniziato a vedere segnali di allarme. Tutta la famiglia si è riunita per la festa del 18° compleanno della sorella maggiore Gailia. Tutti vogliono che parli padre Claudio. L’intera famiglia incita, ma lui rifiuta categoricamente e l’umore si guasta. L’ansia percepita di Claudio è stata spiegata quando qualcuno ha fatto saltare in aria la sua macchina due ore dopo. Ben presto divenne un latitante ricercato per gravi reati di droga.

Kiara si nutre con notizie tramite i social media. La famiglia le ha mentito. Non solo la famiglia è sposata nel crimine, ma anche il padre è un bersaglio di una guerra in escalation. È un brutale risveglio per Kiara, che vede minacciata anche la sua posizione ai vertici della gerarchia adolescenziale.

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La pressione è ben incarnata dal giovane Swami Rotolo. Chiara si avvia alla ricerca del padre con un’espressione che fingo come se non fosse tutto un casino. L’immagine segue il taglio da vicino e cattura una presenza sottile che spesso è possibile solo con un cast inesperto.Come in tutti i buoni film sulla mafia, emerge un sacco di drammi familiari, qui con la dinamica padre-figlia come forza trainante. Una nuova prospettiva in un genere pieno di potenziali cliché.

“A Chiara” è romantico Non una leggenda di gangster, ma nemmeno una morale. Carpignano vuole rompere gli stereotipi, a volte forse troppo. Ad esempio, in una scena con un autista mafioso sembra avere un master segreto in scienze dell’arte.

La cosa più difficile è capire padre Claudio, e la sua interpretazione timida e riservata del ruolo non dà a Chiara risposte soddisfacenti. La distanza nel loro scambio sembra più una povertà di testo che una scelta artistica. A volte, l’illusione dell’autenticità viene spezzata da battute come “La chiamano mafia, noi la chiamiamo sopravvivenza”.

La tensione cresce quando Chiara deve affrontare una scelta difficile tra la sua famiglia e una vita completamente diversa, ma Carpignano non offre soluzioni facili ed è fantastico. Come esperienza cinematografica, “A Chiara” rimane incompleta, un pezzo di un puzzle in una storia più ampia, nel bene e nel male.